Premio Letterario Internazionale di Narrativa e Poesia "Giorgio La Pira"

Il mondo di oggi ha bisogno sempre più di persone che sappiano “convertire in investimenti di pace gli investimenti di guerra, trasformare in aratri le bombe, in astronavi di Pace i missili di guerraGiorgio La Pira

sabato 30 settembre 2017

Editoriale di mons. Giordano Frosini uscito sul settimanale "La Vita"

Il dialogo con le altre religioni e la missione della chiesa

Per chi vuole essere fedele alle disposizioni della chiesa, l’ordine del giorno della missione e dell’evangelizzazione va aggiornato. Abbiamo già ricordato che Paolo VI nel 1975 aveva chiesto di ampliare la tematica in questione includendovi il pensiero sociale della chiesa; ora dobbiamo aggiungere che Giovanni Paolo II nel 1990 aveva chiesto di fare altrettanto con il dialogo interreligioso. Purtroppo siamo ancora a lamentare il colpevole ritardo di gran parte della chiesa per l’una e l’altra richiesta, che invece dovrebbero avere il valore di un ordine preciso e obbligatorio. Non c’è ragione al mondo che possa giustificare questo ritardo. Esso è semplicemente un atto di disubbidienza, che reca un danno non indifferente alla vita della chiesa e un motivo di nuove divisioni, di cui non si sentiva affatto il bisogno.
L’enciclica Redemptoris missio di san Giovanni Paolo II afferma testualmente al n. 55: “Il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della chiesa”. Certo, un dialogo che deve andare di pari passo con la convinzione dell’unicità della missione di Cristo e della chiesa, come i cristiani hanno sempre affermato e insegnato nel corso della loro storia. L’induismo, il buddismo, il musulmanesimo e le altre religioni non salvano, però si riconosce loro un’azione positiva nell’opera di salvezza. Già il concilio Vaticano II era stato con loro molto generoso, riconoscendo i valori di cui sono in possesso, in qualche caso addirittura assai prima del cristianesimo. Ma il documento di Giovanni Paolo II va oltre, riconoscendo loro il valore di “mediazione partecipata”, cioè subordinata rispetto a quella di Gesù Cristo e della chiesa, capace comunque di portare a salvezza coloro che l’accettano e la mettono in pratica. Un’affermazione preziosa che sarà confermata più tardi dal documento della Congregazione della Dottrina della fede Dominus Jesus, il quale sprona e incoraggia i teologi a proseguire la loro riflessione su questa linea. È il massimo riconoscimento che tutti i cristiani sono chiamati a tributare loro con convinzione e sicurezza.
Le conclusioni per i cristiani sono così chiaramente delineate: accettazione di questa ultima grande apertura teologica, dialogo sereno con tutti coloro che appartengono ad altre religioni, superamento di ogni spirito fondamentalistico ed esclusivistico, senza rinunciare naturalmente alle proprie convinzioni, ma approfondendole con lo studio e la riflessione, rimanendo aperti a eventuali suggerimenti e complementi, pronti soprattutto a recepire e imitare gli esempi che non di rado vengono offerti a molti cristiani stanchi e rinunciatari. Il dialogo è da intendersi come il metodo regale di ogni opera di evangelizzazione. Ci soccorrono per questo atteggiamenti di pastori come il cardinal Tettamanzi e il nuovo arcivescovo di Milano, che proprio in questi giorni ha preso possesso della sua diocesi con un fraterno saluto ai fratelli e alle sorelle di religione musulmana.
Anche l’Evangelii gaudium di papa Francesco ricalca le stesse linee. In particolare, queste raccomandazioni valgono oggi per i seguaci del musulmanesimo, presenti fra noi in maniera sempre più massiccia e significativa. Ci sono notizie false da smentire (lo ha fatto in questi giorni il direttore di Repubblica), notizie esemplari da diffondere, soprattutto c’è per tutti un richiamo alla carità verso coloro che hanno lasciato tutto per ritrovare altrove ragioni di vita e di speranza. Una linea di rispetto, di stima, di fraternità. Ci ha insegnato papa Benedetto e lo ha ripetuto papa Francesco, l’evangelizzazione non avviene per proselitismo, ma per contatto e attrazione. Come sempre, la comunità cristiana è invitata ad andare controcorrente, perché nella vecchia Europa, ce l’hanno confermato le recentissime elezioni in Germania, si sta diffondendo un clima di appena attutito stampo razzista e xenofobo. Che poi tutto questo si faccia in nome del Vangelo, per difendere, come si dice, i valori cristiani messi in pericolo dai nuovi sopravvenuti (i nuovi “barbari”), è veramente strano e aberrante. I valori cristiani si difendono attuando i comandamenti dell’amore, dell’accoglienza, della solidarietà, che formano la sostanza prima del Vangelo. Coloro che ne sono beneficiari oggi non potranno mai dimenticare l’accoglienza che siamo stati capaci di accordare loro. Ma, al limite, anche questo conta poco: l’essenziale per la coscienza cristiana è aver compiuto il proprio dovere e avere onorato la fede che ci qualifica e di cui vogliamo essere gelosi custodi.
“Il dialogo interreligioso e l’annuncio, anche se non allo stesso livello, sono entrambi elementi autentici della missione evangelizzatrice della chiesa”. La presenza delle altre religioni in mezzo a noi è una sfida posta alla nostra attenzione, la nostra fede messa alla prova, a livello di convinzioni e soprattutto a livello di vita. Due vie da percorrere insieme. Per l’apostolo Pietro, il cristiano è colui che è sempre pronto a dare ragione della propria fede e della propria speranza.
Giordano Frosini

venerdì 22 settembre 2017

Editoriale di mons. Giordano Frosini uscito sul settimanale "La Vita" di Pistoia

Migrazioni: i quattro verbi di Papa Francesco

Li ha dettati il 21 febbraio di quest’anno, parlando ai partecipanti al Forum internazionale ‘Migrazioni e pace’. Sono: accogliere, proteggere, promuovere e integrare, e nella loro laconicità, esprimono una scelta strategica che impegna indistintamente tutti coloro che partecipano alla sofferenza dell’umanità di oggi e hanno a cuore le sorti di quella del futuro. Anche se declinati secondo le proprie possibilità e disponibilità, essi portano in sé il timbro cristiano dell’amore e della carità e insieme hanno la capacità di parlare al cuore di ogni uomo che, al fondo, conserva sempre sentimenti di solidarietà per i più poveri e più infelici. Di questa virtù insieme umana e cristiana, possiamo ricordare ancora la bella definizione che di essa ha dato Giovanni Paolo II in una sua non dimenticata enciclica: “Non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone vicine o lontane. Al contrario è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”.
Un sentimento, di per sé, comune a tutti gli uomini, come ci ricordano anche le culture pre-cristiane, che già riuscivano a parlare questo linguaggio. Purtroppo il veleno dell’individualismo, che si è così pesantemente inoculato nella nostra società, ha cambiato radicalmente pensieri e modi di essere degli uomini di oggi. Un forte regresso rispetto al nostro lontano passato, chiaramente ma invano rintracciato da coloro che indagano sul cammino della storia morale dell’umanità. Una vittoria scandalosa dell’egocentrismo e del proprio benessere, che da tempo dominano sovrani nella società dell’opulenza e del consumismo. E così rinasce spontanea in noi la domanda che ci mette dinanzi alle nostre responsabilità e alle nostre infedeltà: si è dunque esaurita la forza dirompente del messaggio cristiano, che pure era riuscito in pochi decenni a cambiare radicalmente i pensieri e i costumi degli uomini dei tempi passati? Da sempre l’amore, la carità, la solidarietà sono le caratteristiche distintive del messaggio cristiano, il segno di riconoscimento della comunità cristiana: “Da questo riconosceranno che siete miei discepoli”.
Inutile girare intorno alle parole: qui si impone un severo esame di coscienza, perché i conti non tornano. E non tornano in proporzioni non solo preoccupanti, ma addirittura drammatiche. In circostanze come quella che stiamo vivendo, la comunità cristiana dovrebbe essere capace di esprimere con forza ancora maggiore, rispetto alle situazioni normali, la sua testimonianza e la sua esemplarità sulla gente che la circonda. Ma non è affatto così. Perché una grande parte di essa, conquistata dagli slogan divulgati con tanta larghezza dai mezzi della comunicazione sociale e dall’opinione pubblica, si è allineata all’andazzo della gente che chiede soltanto di non essere disturbata nel suo quieto vivere, come non succedesse nulla, e non di rado almeno implicitamente si è fatta anch’essa portatrice di una mentalità pericolosamente inclinata verso il razzismo. A questo punto, un giornale che si professa cristiano e cattolico ha il dovere di gridare allo scandalo e di richiamare tutti alla propria coerenza. Ne va della nostra serietà. Non si è cristiani per gioco o per scherzo. Si rileggano le parole del racconto finale della storia umana: “Ero forestiero… e mi avete rifiutato!”.
Sono parole di Gesù, parole che ci ripete continuamente almeno papa Francesco, così tanto ammirato e così poco ascoltato. Meno, molto meno dell’ultimo imbonitore politico che con i suoi appelli sostanzialmente blasfemi spera di conquistare la maggioranza politica e andare al governo. Uno spettacolo avvilente e triste. Aggravato dalla convinzione diffusa anche in coloro che frequentano la messa domenicale che la questione di cui stiamo parlando è di carattere politico e che per questo la chiesa non se ne occupi e “pensi ai fatti suoi”. Quante volte e per quanti motivi, ci tocca risentire frasi come questa anche da parte di coloro che dovrebbero farsi portatori di idee diverse. Certo la questione è anche politica, perché va regolata secondo ordine e intelligenza, ma è anche, è soprattutto, di carattere morale e chi la tratta con spirito egoistico compie un peccato, di cui dovrà rendere conto a Dio. Chi tocca l’uomo tocca Dio, sua unica immagine e altra incarnazione di Cristo: “Qualunque cosa avete fatto agli altri l’avete fatta a me”. Il catechismo si impara da coloro che il Signore ha posto come maestri della sua chiesa, non dalla televisione o da certi giornali.
Un appello accorato, il nostro, rivolto a coloro che ancora si considerano cristiani, che riconoscono al papa la facoltà di interpretare autenticamente il messaggio rivelato, che non intendono vendere la propria fede e nemmeno il proprio cervello a coloro che continuano a ripetere insegnamenti lontani anni luce dal Vangelo consegnatoci da Gesù.
Giordano Frosini

venerdì 8 settembre 2017

Editoriale di mons. Giordano Frosini uscito sul settimanale "La Vita"

“Un solo Signore”

Sono le parole con cui, in pieno regime nazista, un gruppo di teologi e cristiani “confessanti”, guidati dal grande Karl Barth, presero posizione, quasi come un giuramento, dinanzi alle provocazioni e alle persecuzioni dello stato tedesco, stretto da una delle più feroci dittature che la storia ricordi. Chi non ha dimenticato il clima di paura instaurato in Germania e presto esportato nei paesi alleati, fra cui l’Italia, sa bene di quale coraggio fossero animati coloro che presero parte a quella storica riunione. Non era in questione solo il posto di lavoro con il licenziamento o la libertà con il carcere o l’espulsione con l’esilio forzato: in gioco era la vita, perché il “signore” che comandava spargeva sangue e terrore dovunque arrivava il suo potere. Si ricordi soltanto il caso di Dietrich Bonhoeffer, che pagò con l’impiccagione in uno dei tanti lager della Germania la sua fede cristiana e la sua disubbidienza al regime imperante, che si ergeva a creatore indiscusso del diritto e della ragione. Il “signore” del momento, che con un atto di inimmaginabile superbia detronizzava il Signore e si collocava al suo posto. È storia di ieri, che nessuno (speriamo veramente nessuno) si sogna di ripetere, anche se purtroppo qualche segnale qua e là farebbe proprio pensare al contrario.
Un pensiero però che non sfiora nemmeno lontanamente chi scrive che, al termine di un’estate troppo calda in tutti i sensi, ricorda questi fatti, non per impaurire il lettore, ma per mettere in risalto il gesto di straordinaria coerenza di coloro che osarono ribellarsi contro un’opinione pubblica galvanizzata dalla propaganda e del tutto succube e allineata. Le piazze, non va dimenticato, erano piene di gente convinta, connivente e plaudente. Come fu possibile? Eppure la storia non si smentisce. Le foto sono lì a dimostrarlo.
Fra allora e ora una certa analogia esiste, lontana quanto si vuole, ma al fondo simile in certi suoi connotati e soprattutto in alcuni suoi effetti. Uno dei più grandi sociologi del nostro tempo, il polacco Zigmunt Bauman, con un suo stile personale che ha finito col convincere tutti, ha parlato della nostra epoca come di un’epoca liquida, che vuol dire mutevole, sdrucciolevole, senza fermezze e punti fermi, priva di leggi morali fisse e di valore universale e perpetuo. Oggi le persone semplicemente inventano, fanno da sé senza norme che li precedono, senza programmi che li coartino: un andazzo che sembra travolgere tutto, perfino la religione che non è più qualcosa che s’impone alla libera volontà, ma qualcosa che si sceglie a seconda dei gusti e delle preferenze, magari attingendo qua e là, come api che succhiano il loro miele da tutti i fiori che incontrano. Si parla per questo, con fondatezza, di “religione-fai-da-te”. Un dato di fatto, anche se sorprendente e sconcertante.
Un altro dato di fatto, meno visibile, ma certamente esistente e ormai diffuso a livello generale, è il pensiero debole. Si è partiti dalla filosofia, ci si è ragionato e scritto a diritto e a rovescio, ma, lentamente e senza che ce ne accorgessimo, ci ritroviamo tutti indeboliti di ragione e di pensiero. È la condizione liquida applicata alle facoltà razionali, tipiche dell’uomo. Una miscela paurosa, perlomeno pericolosa, quella che è nata dalla fusione di queste due caratteristiche del nostro tempo. La società liquida e il pensiero debole, per un verso e per un altro, facendosi forza a vicenda, completandosi nella loro unione, col contributo determinante dei mezzi di comunicazione sociale, asserviti alla mentalità del tempo e ai suoi dominatori, hanno finito col creare la figura tipica dell’uomo di oggi. Non sarebbe poco, nemmeno per noi, che vogliamo restare su un piano specificamente religioso. Il guaio è che, certamente anche con la nostra complicità e il nostro silenzio, le due tendenze hanno finito col creare anche il cristiano di oggi. Non tutti i cristiani, grazie a Dio, ma il cristiano medio, quello che s’incontra normalmente, magari anche nelle stesse nostre chiese e, qualche volta almeno, perfino nelle nostre associazioni, che pure sono destinate all’approfondimento, allo studio, alla consapevolezza, alla maturità.
È il cristiano che magari dice anche con orgoglio di essere tale, che ignora gli stessi fondamenti della propria fede, che non conosce e nemmeno legge il Vangelo o non ne trae un minimo profitto sul piano delle idee e della prassi, che ignora del tutto il pensiero sociale della chiesa, che alla voce di questa, perfino del papa (pure teoricamente ammirato ed esaltato) preferisce quello del leader politico del momento, che sui temi scottanti di oggi, come l’immigrazione, la povertà diffusa, la disuguaglianza scandalosa, ragiona come i non cristiani, sul filo del razzismo e della demagogia e comunque si comporta nella stessa maniera, che taccia di politicanti coloro che cercano di applicare il Vangelo ai problemi dell’uomo e della società, che pensano al cristianesimo come alla religione cosiddetta dell’anima, senza per niente incidere sulla vita personale e sociale. Forse all’inizio del nuovo anno pastorale c’è da riflettere seriamente sulla nostra situazione. Anche in casa nostra, la società liquida e il pensiero debole hanno bisogno di una energica cura.
Dai “signori” al “Signore” e non viceversa.
Giordano Frosini