Premio Letterario Internazionale di Narrativa e Poesia "Giorgio La Pira"

Il mondo di oggi ha bisogno sempre più di persone che sappiano “convertire in investimenti di pace gli investimenti di guerra, trasformare in aratri le bombe, in astronavi di Pace i missili di guerraGiorgio La Pira

venerdì 28 aprile 2017

Editoriale mons. Giordano Frosini uscito sul settimanale "La Vita"

1° maggio una festa sospesa

Se il lavoro è un diritto garantito dalla legge naturale e dalla carta costituzionale, l’esistenza di una disoccupazione così alta quale quella che coinvolge in particolare il nostro paese non permette esaltazioni trionfalistiche e manifestazioni festose, come sono nelle tradizioni dei nostri paesi. Il nostro è piuttosto un tempo di riflessione e di revisione, rimandando la festa a tempi migliori. In momenti come questo, è necessario richiamare con urgenza e con forza (la forza della verità) il pensiero passato e recente della chiesa. Edotta dalla vita del Figlio di Dio, dell’apostolo Paolo, dalla stessa presentazione biblica di Dio, la comunità cristiana avviò una nuova concezione e una nuova civiltà del lavoro, rompendo di prepotenza le antiche concezioni che relegavano l’attività lavorativa agli schiavi e alle classi subalterne e addirittura erano arrivate a definire l’attività operativa in negativo come il non-riposo (nec-otium), quasi che il dolce far nulla fosse l’atteggiamento fondamentale e costitutivo dell’esistenza. Una rivoluzione di cui, certamente anche per colpa dei cristiani, l’umanità si è dimenticata, rivolgendosi di conseguenza da altre parti.
Un buon inizio per la nostra meditazione è contenuto nella Costituzione Gaudium et spes del concilio Vaticano II, che così presenta il lavoro: “L’attività umana come deriva dall’uomo così è ordinata all’uomo. L’uomo, infatti, quando lavora, non trasforma soltanto le cose e la società, ma perfeziona se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, esce da sé e si supera. Tale sviluppo, se è ben compreso, vale più delle ricchezze esteriori che si possono accumulare. L’uomo vale più per quello che è che per quello che ha”. Una bella definizione a cui si può aggiungere, su un piano concreto, quanto sta affermando da tempo papa Francesco, secondo il quale colui che non riesce a portare a casa il frutto del suo lavoro si sente privo di dignità, un uomo mancato, un essere inutile, un ferrovecchio della società, che per parte sua gli nega anche rispetto e stima. La psicologia del disoccupato è stata studiata da tutti i punti di vista, cominciando da quello psicologico, che rimane il più grave e il più distruttivo. Un fenomeno, è stato detto, come una malattia dalla quale si deve guarire al più presto, altrimenti porta alla morte.
Se questo è il lavoro, se questa è la disoccupazione, si comincia a capire con quale alacrità e con quale decisione si deve ricercare il lavoro indistintamente per tutti. Da sottolineare: per tutti, in particolare per coloro che si aprono alla vita adulta e autoresponsabile. È nota la reazione di Giorgio La Pira quando alla Costituente Vittorio Emanuele Orlando, parlò di “disoccupazione strutturale”, come se essa fosse necessaria per un regolare svolgimento dell’attività economica. “Onorevole, ma che dice!”, gli gridò coraggiosamente in faccia La Pira muovendosi d’impeto dal suo scranno. Da convinto cristiano, il Sindaco di Firenze, non accettava che ci fosse al mondo nemmeno un disoccupato. Alla resa dei conti, la disoccupazione è la prima e la più grave malattia di una società fondata sul valore e la dignità della persona umana. Come fa a non rendersene conto un vero cristiano, per definizione l’amico, il soccorritore, il buon samaritano di tutti i bisognosi trovati feriti ai margini delle sue strade?
Nessuno vuol negare le difficoltà che questo obbiettivo riserva specialmente oggi nel contesto dell’economia globale e, nel caso nostro, di quella europea, ma quanto questa economia globale ha fatto propri i presupposti del neo-liberismo e del capitalismo selvaggio, che il mondo cristiano dovrebbe rifiutare di lontano, secondo gli indirizzi più volte affermati nella chiesa, perché sostituiscono l’economia alla politica e all’etica, perché dimenticano il valore supremo e inalienabile della persona umana, perché mettono in sott’ordine i bisogni dei meno abbietti e dei poveri per privilegiare i più forti e i più fortunati? E a questo proposito dove è finita la dottrina sociale della chiesa? La fine di un partito di ispirazione cristiana, opportuna in se stessa, non doveva essere pagata a così alto prezzo. Se uno ha dei dubbi su questa dolorosa costatazione, guardi le tante liste elettorali in giro in questo momento, cominciando dai nostri paesi e dalle nostre città. Quanti cristiani ci trova? Il vangelo non ha forse più niente da dire sui problemi che assillano oggi la nostra società? Una società che porta ben visibili le ferite dell’egoismo, della mancanza di solidarietà, di giustizia e di amore. Siamo proprio sicuri di essere in pari con le nostre responsabilità?
Giordano Frosini

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