Premio Letterario Internazionale di Narrativa e Poesia "Giorgio La Pira"

Il mondo di oggi ha bisogno sempre più di persone che sappiano “convertire in investimenti di pace gli investimenti di guerra, trasformare in aratri le bombe, in astronavi di Pace i missili di guerraGiorgio La Pira

sabato 22 aprile 2017

Gli indifferenti, editoriale di mons. Frosini uscito sul settimanale "La Vita"

Niente a che fare col contenuto del primo romanzo di Alberto Moravia, che nel 1928, in pagine stanche e rassegnate, dette vita a personaggi scarsi di sensibilità e di interessi, chiusi nel loro piccolo mondo privo di spazio e di orizzonti. Una descrizione del fenomeno dell’indifferenza in un ambiente di vita mediocre e ordinaria che naviga nell’acqua stagnante dell’abitudine e dell’insignificanza, con il merito però di segnalare uno degli atteggiamenti che stava prendendo campo, diffondendosi e ramificandosi celermente in ogni direzione. Il nostro discorso si colloca a un diverso livello, quello dell’indifferenza in campo religioso, col quale da tempo stiamo indagando con scarsi risultati e che intanto continua a presentarsi come uno degli aspetti più inquietanti della nostra gente, in particolare del mondo giovanile. Indifferenza, cioè insensibilità, noncuranza, freddezza, disinteresse. Una modalità di vita e di pensiero che quando si è stabilita saldamente nell’animo con difficicoltà se ne esce pacificamente, ma ha bisogno di qualche sussulto straordinario che scuota in profondità tutto quanto l’essere di chi, quasi insensibilmente, ne è stato pervaso. Per Anton Cechov, essa è una forma vera e propria di religione, peggio ancora “la paralisi dell’anima e una morte prematura”. Meglio l’inimicizia diretta e lo stesso odio; nel nostro campo, meglio l’ateismo vero e proprio che la lontananza passiva e assente dell’indifferente, col quale molto difficilmente si riesce a entrare in contatto aperto. Forse intuendo al fondo che la sua posizione è di difficile giustificazione, egli fugge il dialogo e si chiude ermeticamente in se stesso.

Di questo atteggiamento prese ufficialmente atto la comunità cristiana nel corso degli anni ottanta del secolo scorso, quando lo stesso Giovanni Paolo II suggellava con la sua autorità le conclusioni di un convegno ecclesiale che riconosceva il passaggio dall’ateismo diretto e teorico al fenomeno della indifferenza, annotando anche che, in un certo senso, il secondo superava in pericolosità il primo. Erra colui che pensa che l’indifferenza sia un atteggiamento meno difficile della forma nuda e cruda dell’ateismo. Si tratta soltanto di una apparenza. Lo dimostra l’esperienza di coloro che hanno tentato rapporti di questo tipo e anche i risultati raccolti dagli studiosi delle scienze sociali. Personalmente ho sempre avvertito questa maggiore difficoltà e continuo ad avvertirla costretto come sono a prendere atto quasi ogni giorno del continuo diffondersi di questo atteggiamento, anche nei figli di famiglie fondamentalmente cristiane. Un dolore doppio, a cui naturalmente non si rassegnano  i genitori, che sentono il bisogno di una assistenza pastorale appropriata e con tutta probabilità anche di una seria revisione di vita. Rispetto al passato appena ricordato, va detto che oggi le cose sono alquanto cambiate, perché, soprattutto sulla base delle teorie scientifiche e anche dell’acuta sensibilità al problema del male, sta avvenendo un ritorno di posizioni chiaramente ateistiche. Però il fenomeno dell’indifferenza resiste e continua a mietere vittime intorno a noi, vicino a noi, addirittura nelle nostre case, in coloro sui quali avevamo fatto conto per il futuro e credevamo di aver fatto tutto quello che era possibile per la loro formazione. È la delusione e la sofferenza del momento. Non solo i pastori, ma tutti i credenti sono preoccupati, perché tutti sono convinti della subdola pericolosità del fenomeno e per la difficoltà (o incapacità) a trovare la via giusta per contrastarlo. L’ateo espone con forza il suo pensiero, l’indifferente tace per il semplice motivo che non ha nulla da dire: tace e non vuole essere disturbato. Così si preferisce  rimanere in questa terra di nessuno, senza preoccupazioni e senza rompicapi, del resto circondati da non pochi conoscenti e amici. È più facile spostare un grosso macigno che portare un indifferente ad accostarsi seriamente e con vera disponibilità al problema religioso. Capire le motivazioni di fondo di questo atteggiamento è già porsi sulla strada giusta.
Forse per questo è necessario andare molto lontano, chiamando in causa il diffuso materialismo e l’imperante edonismo consumistico e amorale. Ma è chiaro che l’attuale crisi manifesta chiaramente l’incapacità delle agenzie educative, senza eccezione. Per tutti c’è qualcosa da cambiare.
Giordano Frosini

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